Eravi allora in Palermo il famigerato medico Gian Filippo Ingrassìa, che molto si cooperò ad estinguere questo male, che non potè in altro miglior modo frenarsi, che col sbarrare le strade, che ne erano infette, e col togliere ogni commercio fra i sani, e gli ammalati.
Durò questa contagione sino all’anno 1576, imperocchè, quantunque sembrasse estinta nello stesso anno 1575, ripullulò nonostante in capo a poco tempo per l’avarizia di coloro, che non voleano disfarsi delle robe appestate, o per i ladronecci di quelli, che le rubavano, e le vendevano poi a vil prezzo alla povera gente. Noi leggiamo nel più volte mentovato giornale manoscritto del Paruta (1079), che a darvi un pronto riparo fu obbligato il presidente del regno a procedere con estremo rigore contro i delinquenti, e che in Palermo ai 19 di gennaro 1576 sei uomini, che aveano rubate robe infette, e vendute alla casa del poeta (che sarà stato Antonio Veneziano) dove morirono quattordeci persone, furono esemplarmente castigati, altri essendo stati strascinati alla coda dei cavalli, e strozzati, altri tenagliati, e buttati dall’altezza del palagio vecchio detto dell’Ostieri, ed altri impalati, e poi uccisi. Questo rigore giovò ad impedire i progressi della pestilenza, e ai 22 di luglio, estinto intieramente il male, furono pubblicamente rese le grazie all’Altissimo.
Cessato questo flagello (1080), e ricadendo il tempo del triennale parlamento ordinario, fu questo convocato dal principe di Castelvetrano nella sala del regio palagio di Palermo ai 9 del mese di agosto.
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