La galea Palermo, dove era il principe colla sua famiglia, e gli accennati cavalieri, buttando in mare quanto avea di pesante, poggiò verso terra, e si avvicinò a Capri, ma la S. Angelo, non potendo seguire la capitana, girando di bordo prese la via di Sardegna, lusingandosi, che se nella notte rinforzava il vento, si sarebbe agevolmente liberata dalle mani degli Algerini. Costoro desiderosi di fare questa considerabile conquista non tralasciarono di dar la caccia all’una, e all’altra. Mancò alla seconda galea disgraziatamente il vento, e sul tramontare del sole, dopo un breve combattimento, restò in potere de’ nemici. La capitana Palermo però, che ritrovavasi più lontana, ed era solo incalzata da due delle otto galeotte algerine, a forza di remi giunse in terra, dove sbarcò il principe di Castelvetrano con tutta la sua comitiva, e il suo equipaggio. Perirono solo un cappuccino, tre paggi di esso principe, e quindici altre persone, che desiderose di scampare dal potere dei Mori, si erano buttati a mare, e si erano affogati. Come poi questa capitana fu presa dagli Algerini, eglino oltre di impadronirsi del legno, e della roba, che vi era restata, fecero anche schiavi coloro, che stavano alla cappa. La relazione della presa di queste due galee fu tratta dalle lettere del P. Zapparrone uno dei monaci Benidettini, che restò schiavo, le quali si conservano nello archivio del mio monistero di S. Martino, e fu poi pubblicata l’anno 1674 dal padre Tornamira custode del medesimo per i torchi di Carlo Adamo (1084).
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