Furono in questa occasione dimandate al medesimo alcune grazie, sulle quali egli rispose (1095). Non si fa menzione negli atti di questo parlamento de’ regali al cameriere maggiore e a’ regî uffiziali, ma è a presumersi che non si fossero omessi.
Rapportasi da certuni de’ nostri scrittori a questo stesso anno 1579 un incendio accaduto nel nostro Vulcano terribile, cioè nel Mongibello. Il Pirri (1096) lo anticipa di un anno, volendo che sia successo all’anno 1578, e racconta che la Lava così detta, cioè il fiume di fuoco, camminò cinquecento passi, e devastò molte campagne. Il continuatore del Maurolico però (1097) ne parla all’anno 1579, e vuole che il fuoco non scappò dal cratere, ma da un lato della montagna. Gli altri scrittori (1098) mentovano in detto anno questo istesso flagello accaduto alla Sicilia, ma non ne diciferano i funesti effetti. Il p. abate Amico catanese, quantunque sia di accordo che l’anno 1579 il Mongibello vomitò delle fiamme, opina nondimeno che questo incendio non fu punto nocevole nè a Catania, nè alle sue campagne, ed assicura che per quante diligenze abbia fatto, non trova verun monumento, che additi che abbia recato de’ danni, e che abbia atterriti, come suole accadere nei grandi incendî, gli abitanti (1099).
Conchiuso il parlamento, e tranquillo essendo il regno, ebbe in animo il vicerè Colonna di abbellire le due città principali Palermo, e Messina. Avea egli fin dall’anno antecedente 1578 ordinato, che si ergesse una fabbrica dirimpetto la piazza della Marina, e presso la chiesa di Porto Salvo, destinandola per la dogana, ch’è oggi ridotta in carcere de’ delinquenti, detta Vicarìa, e ne avea buttata fin d’allora la prima pietra.
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