Il re intanto considerando attentamente ciò, che dovea accordare, per risecare gli abusi introdottisi nel tribunale della monarchia, e ciò, che dovea negare, come lesivo dei suoi reali diritti, fece nuove proposizioni a Gregorio XIII per mezzo del marchese di Alcagnines, che le comunicò al vicerè Colonna con lettera dei 21 di aprile 1581. Il papa già era per approvarle; ma i curiali di Roma, che s’impinguavano con queste contese, vi opposero tanti ostacoli, che differendosi di giorno in giorno la conchiusione, il marchese suddetto, riputando disonorevole alla maestà del re il continuare la dimora in Roma, col permesso di Filippo II, se ne partì lo stesso anno 1581.
Questo monarca, non ostante che nulla si fosse determinato in Roma, volle da sè dare riparo agl’inconvenienti, e scrisse al vicerè eligendo per giudice della monarchia un’ecclesiastico (ch’era una delle pretensioni della corte di Roma), e promosse a questa carica Niccolò Stizia catanese, uomo dotto nel diritto canonico, che fu poi vescovo di Cefalù, e gli accordò la pingue abbazia di S. Maria di Terrana per suo assegnamento. Volle poi che lo stesso vicerè unendosi [243] coll’arcivescovo di Palermo stabilisse la norma come dovesse in avvenire regolarsi il tribunale della monarchia, ed il Colonna avute le conferenze con monsignor Cesare Marullo, finalmente ai 2 di ottobre 1581 promulgò le nuove istruzioni.
Venendo l’anno 1582 furono la Sicilia, e l’isola di Malta in pericolo di essere assalite dall’armata turca. Amuratte successore di Selimo avea sentito con dispiacere la rivoluzione di Tunisi, e fin dall’anno antecedente avea dato la commissione al famoso Ulucchiali di riconquistarlo, dandogli una flotta di sessanta galee.
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