Lasciamo a parte le ingiustizie, le avanie, ed i riguardi verso i suoi di coloro, ai quali è affidata l’amministrazione, e il ripartimento dell’annona, che sogliono accrescere le miserie.
Le leggi severe fatte dal conte di Albadalista in questa occasione contribuirono ad augumentare la fame (1160), e particolarmente nelle città principali, dove concorrono i famelici, per sfamarsi, nelle quali era la carestìa giunta agli estremi. Scrive Vincenzo di Giovanni (1161), in un suo Mss., che morirono in questa occasione per tutto il regno intorno a dugento mila abitanti, e che in Palermo sua patria erano le cose ridotte a tal segno, che non vi era frumento per più di otto giorni. Quindi mancando ogni umano soccorso, fu ricorso al Dio delle misericordie, e furono portate in processione le reliquie di S. Cristina, che era allora la principale protettrice della città; e fortunatamente, e fuori d’ogni espettazione giunse in porto una grossa nave carica di grani, che comprò il senato a venti scudi, cioè ad once otto la salma, oltre una collana d’oro, che regalò il detto magistrato al padrone della nave. Dietro a questo soccorso giunsero poi altre barche, che recarono viveri, e fecero in parte cessare il crudelissimo flagello (1162).
Si trattenne il conte di Albadalista in Messina per tutto il mese di novembre 1590, e nell’entrare del dicembre si dispose a ritornare in Palermo, dove arrivò ai 15 di esso mese. Accadde alla sua venuta uno infortunio non meno dannoso della carestìa; che si soffriva.
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