Questa adunanza del magistrato durò, come la gravità dello affare ricercava, qualche tempo; laonde l’insolente plebe cominciò ad insospettirsi, che quella dimora era cagionata dalla propensione de’ senatori a non contradire agli ordini lasciati dal vicerè. Bastò che uno cadesse in questa sospicione, perchè tutti ne restassero persuasi, e si movessero perciò a tumulto. Il marchese di Geraci avvisato, che la plebe era già in moto, non avendo forze bastanti per frenarla, da buon politico montò a cavallo, e infingendosi del partito del popolo, corse alla piazza, ed entrando nella dogana (1185) ne prese i libri, e li stracciò colle proprie mani. Questa prudente condotta suggeritagli dalle circostanze del tempo produsse il bramato effetto: I sollevati credendosi già liberi dalle gabelle si acchetarono, e tornò in Messina la tranquillità. Sedata la sollevazione, il detto cavaliere si assicurò destramente de’ capi del tumulto, che una mattina all’improvviso fe trovare per le strade strozzati, ed attaccati ad un capestro. Codesto spettacolo apportò lo spavento agli altri ammutinati, i quali non ardirono di più parlare, e intanto senza contradizione si continuarono ad esigere i diritti delle regie dogane (1186).
      Nel tempo che Messina era in rumore, in Palermo si stavano preparando magnifiche feste per l’acquisto della testa di S. Ninfa, che da tanto tempo quei cittadini aveano richiesta alla santa sede, e finalmente ottennero per opera della viceregina Maria di Piementel (1187). Furono queste solennità [260] celebrate dai 27 di agosto in poi, come trovasi scritto nella lapide apposta alla porta della cattedrale, che fu pubblicata dal Pirri (1188). La spesa fatta allora dal senato di Palermo fu di sessanta mila scudi.