Questo sbilancio, che non si è potuto finora emendare, par che a’ dì nostri abbia richiamate le cure del governo, ma a nostro giudizio si faticherà sempre inutilmente, se non si basa una regola fissa e costante, che distribuisce con pari bilancia i pesi dello stato.
Mentre il duca di Feria stavasene regolando pacificamente il regno, e cercava la felicità de’ sudditi, venne inquietato dagl’inquisitori nel mese di luglio. Era stato bandito da’ giudici della gran corte un certo Mariano Agliata per indizio di omicidio, che si sospettava, ch’egli avesse commesso in persona di un ufficiale spagnuolo. Era costui per fatalità uno de’ così detti Familiari del S. Uffizio, e perciò ricorse a’ suoi tre inquisitori contro la sentenza della gran corte. Costoro credendo lesi i loro diritti, mandarono immediatamente un monitorio a’ giudici, ordinando loro che cancellassero la sentenza di bando, e mandassero il processo al loro tribunale, cui pretendeano che appartenesse il giudizio intorno ai loro familiari. Ricusarono i giudici di ubbidire, e gl’inquisitori, senza aver riguardo al più eccelso, ed autorevol tribunale della Sicilia, tosto li scomunicarono. Rincrebbe al duca di Feria questa violenta procedura, e dopo di avere avvertiti gl’inquisitori inutilmente, acciò rivocassero la scomunica, ottenne dall’arcivescovo de Aedo, ch’era stato ancor egli inquisitore prima di occupare la cattedra arcivescovile di Palermo, l’assoluzione dei giudici. Questa in quella età, in cui l’ignoranza, e la superstizione non faceano distinguere l’ingiusta dalla giusta scomunica, era necessaria; imperocchè lo sciocco popolo immaginava, che lo scomunicato, comunque lo fosse ingiustamente, non potea prima di essere assoluto, esercitare il suo impiego; e il sospendere tutta la gran corte era lo stesso che arrestare il corso alle liti, ed a’ giudizî, ed apportare la confusione, e il disordine per tutto il regno.
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