Quantunque però si fosse dissipato ogni pericolo della flotta ottomana, non erano nondimeno sicuri i nostri mari dalle piratarìe de’ Mori, e a tal causa entrando l’anno 1604 si pensò di portare la guerra in Barberia per tenere a freno costoro. Venne a questo fine in Palermo il conte di Dia, o come il chiama il Paruta (1250), di S. Gadèa Adelantado di Castiglia, e generale delle galee di Sicilia. Il duca di Feria gli ordinò che andasse in Malta per unirsi alle galee della religione, e di Napoli per questa spedizione, e gli consegnò il marchese di Villalta suo primogenito per assuefarlo alle guerre marittime. Non arrivò la nostra flottiglia in tempo; già le galee di Malta, e di Napoli erano partite, e perciò il generale suddetto fe un giro per i nostri mari, nè trovando alcun legno corsaro, se ne ritornò in Palermo, e riconsegnò il figlio al vicerè. Anche inutile fu ogni tentativo fatto dai Napolitani, e dai Maltesi, se sene tragga il saccheggio da loro fatto nell’isola di Lango altre volte tanto cara ai cavalieri dell’ordine (1251).
Rincrescea ai Messinesi, che, malgrado il loro privilegio, il vicerè se ne stasse in Palermo, nè lasciarono di pregarlo, acciò eseguisse le reali determinazioni; nè credesi che abbiano trascurato di farne anche vive istanze alla corte di Madrid. Noi non sappiamo se avesse quest’oggetto il ricco dono che eglino mandarono a Filippo III, che vien riferito dagli storici di questa città (1252). Consistea questo in una statua di argento, alta tre cubiti, di peso di cento venti libre, che rappresentava il genio di Messina, la quale era adornata di pietre preziose, e di perle di grandissimo valore; la quale statua presentava al re un’urna d’oro, in cui erano riposte alcune reliquie dei Ss. Placido e compagni, e sulla di cui superficie era delineato il loro martirio.
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