Qualunque siane stata la cagione, o i segreti ordini della corte, o la volontà del duca di Feria di compiacere dopo tante preghiere i Messinesi, egli è certo che in quest’anno egli partì da Palermo, e andossene a stare in Messina.
Avea egli ivi convocato per ordine del re un parlamento straordinario per i due di agosto, nell’apertura del quale rappresentò il bisogno, in cui era S.M. di tenere delle armate contro i nemici della cattolica [273] religione. Erano questi gli Inglesi, coi quali era in guerra, e gli Olandesi, che tuttavia persistevano nella loro ribellione, non ostante che i Paesi Bassi non fossero più in potere del re di Spagna, ma fossero stati da lui cessi all’arciduca Alberto; e voleano a tutta forza la libertà di pensare a lor modo negli affari di religione. Perciò conveniva al re cattolico di somministrare all’arciduca dei soccorsi per sostenere il cattolicismo. I tre ordini dello stato, sebbene il regno fosse smunto, offerirono nondimeno dugento mila scudi da pagarsi in tre anni. Ebbe il vicerè il consueto dono di cinque mila fiorini, e il suo cameriere maggiore i soliti cinquecento scudi, e i cento cinquanta i regî uffiziali (1253). La città di Messina pretese in forza dei suoi decantati privilegi di non dover concorrere a questa straordinaria offerta, e scrive il Bonfiglio (1254), seguito dal Longo, che ne fe da sè una particolare di cento mila scudi, che fu così gradita dal re Filippo III, che ordinò al duca di Feria di eseguire a favore dei Messinesi quanto era stato loro concesso dal suo reale genitore (1255).
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