La penuria, che travagliò la Sicilia, che era cominciata nel termine del governo del duca di Feria, non solo era nata dalla [275] sterile ricolta di quest’anno 1606, ma dalla poderosa armata, che si era trattenuta qualche tempo in Messina. Le galee comandate dal marchese di S. Croce erano ventisette, e oltre a queste vi erano quelle del Doria, di Firenze, del Papa, di Genova, e di Malta: ora il provvedere di viveri così numerosa gente, dietro ad una messe scarsissima, era cosa assai malagevole. Vuolsi che per la sola armata navale abbisognavano sessanta salme di grano al giorno. Il senato di Messina nulla omise per prevenire la fame, fino a comprare dai Fiorentini i frumenti al carissimo prezzo di ventuno scudo per salma. Fattosi il conto prima di partire il duca di Feria di quanto grano abbisognava per le sementi, e per gli alimenti degli abitanti, si trovò che mancavano quattro mesi di vettovaglie per tutto il regno (1265).
      In questo stato trovò il regno il marchese di Geraci, quando n’ebbe la presidenza interina, il quale intento a procurare, per quanto gli fosse possibile, che la fame non arrivasse, e sapendo come gli avari sogliono in codeste occasioni nascondere i grani, per poi venderli a peso d’oro, appena preso possesso del governo, fe l’elezione di due vicarî generali, cioè di Francesco Sifar barone di Siculiana, e di Cesare Gaetano marchese di Sortino: ordinando loro che visitassero il regno, provvedessero a’ bisogni di ciascheduna città, o terra, e sopratutto invigilassero che non mancassero le sementi, e queste con effetto si buttassero nelle terre, acciò la nuova raccolta fosse abbondante.