Era troppo fresco il privilegio ottenuto da questi sotto Filippo II, con cui si accordava loro privativamente la zecca, per attaccarlo di fronte; e perciò i Palermitani, a’ quali rincrescea che il dritto di monetare appartenesse a’ soli Messinesi, esposero la necessità, che al più presto che fosse possibile, si coniasse la nuova moneta, così [277] ricercando il bene del regno, e del commercio; e perciò progettarono, che non potendosi ciò eseguire meglio, che con moltiplicare le zecche, si accordasse questa volta l’eccezione al privilegio messinese a favore di Palermo, restando illesi i dritti di Messina. Per dare maggior forza a questa loro dimanda rappresentavano, che in Palermo, dove corrono fiumi di acque, potea farsi uso de’ molini, co’ quali diveniva più spedita la monetazione. I Messinesi però, che ben rilevavano, che aperta una volta questa maglia, si sarebbe dato un urto al loro privilegio, si opposero gagliardamente al progetto de’ Palermitani, e come il vicerè mostravasi propenso all’erezione di due zecche, ricorsero in Ispagna, e perciò fu sospesa la nuova monetazione (1276).
Queste contese erano particolarmente nate in Messina, dopo che il vicerè vi era andato, o per tener contenti quei cittadini, o per gastigare un nobile di quella città, che insieme con un suo paggio era solito di ritagliare le monete. Vi arrivò egli a’ 25 di luglio 1607, e tosto fe’ compilare il processo a quel cavaliere, di cui a buona sorte della famiglia gli scrittori ci hanno taciuto il nome.
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