Ma perdutasi la memoria di questi divertimenti, ed osservatosi il modo imperioso, e ingiusto, con cui avea trattato il pretore, che è il capo della città, e insieme il marchese della Limina deputato del regno, cessò nei Palermitani stessi l’amore verso questo vicerè, il quale divenne perciò esoso a tutta la nazione. Come è facile a cambiare l’incostante moltitudine! Sebbene bisogna esser di accordo, che questo cavaliere non fu costantemente dello stesso umore durante il suo governo. Sulle prime si mostrò amante della giustizia, propenso a procurare la prosperità del regno, e intento a sostenere il ceto nobile decaduto dal suo splendore per gli enormi debiti, dai quali era aggravato; e perciò era divenuto l’idolo della nazione, se se n’eccettuino i Messinesi che mal soffrivano la di lui continua dimora in Palermo. Ma di poi molte cagioni lo fecero mutare di temperamento. Gli ostacoli ch’ei trovò dalla parte di Messina nell’affare della monetazione, e le continue difficoltà, che nascevano alla giornata per riparare al disordine, che le monete ritagliate cagionato aveano, la schiavitù del figliuolo [282] e la perdita del denaro mandato a Costantinopoli per riscattarlo, giacchè questi rinnegò di poi la fede di Cristo, e divenne maomettano; e le opposizioni fattegli da tutto il regno sulla Pandetta, che volea stabilire per la manutenzione delle truppe di mare comandate dall’inglese Scarlai, irritarono il di lui animo. Un umore melanconico s’impossessò del suo cuore, subentrò allora la divozione, che mal guidata da ignoranti direttori degenerò in una pretta bacchettoneria, per cui abbandonando le redini del governo nelle mani dei confidenti poco scrupolosi, che lo circondavano, applicavasi tutte le ore del giorno in esercizi di pietà. Produsse codesta indolenza negli affari della confidatagli amministrazione il disordine; giacchè coloro, che reggevano in suo nome, ne profittavano per arricchirsi, e rendevano venale la giustizia.
| |
Limina Palermitani Messinesi Palermo Messina Costantinopoli Cristo Pandetta Scarlai
|