Il cardinal Doria assunto all’arcivescovado di Palermo per la morte di monsignor Diego de Aedo era arrivato in detta città ai 7 di maggio dell’anno antecedente 1609, e la di lui entrata in Palermo era stata delle più solenni, che si fosse veduta, come la descrive distintamente il Paruta (1304). Mostrossi egli fin dal principio del suo ecclesiastico governo assai severo, ed amante di una rigorosa disciplina, come si fa palese da varî editti, che ei promulgò per la sua chiesa, e particolarmente da quelli contro i bestemmiatori, e contro gli abusi introdottisi nei chiostri delle monache (1305). Prese egli il possesso di presidente del regno ai 13 dello stesso mese di settembre (1306), e unendo con questa nuova carica il governo politico all’ecclesiastico, si applicò ad amministrare una esatta giustizia, per cui gli afflitti popoli [283] cominciarono a sperare di essere sollevati. Siccome molto conducea a rendere la gente insolente la libertà, che si era infino allora tollerata, di portare armi vietate, e particolarmente pugnali, che appena si veggono, egli incaricò i ministri che invigilassero ad estirpare questo abuso; e come poi vide che non vi si riparava, così prima di terminare il governo promulgò un bando, vietando a tutti, e singoli abitanti di Sicilia di poter portare codeste armi, sotto la pena ai nobili, se contravvenissero a quest’ordine, di dieci anni di carcere nel castello, ed agli ignobili di altrettanti anni di galera: il dispaccio è del dì 4 marzo 1611 (1307).
Nel principio del governo di questo porporato arrivò in Palermo nel mese di dicembre un sovrano dispaccio, con cui era condannato il tomo undecimo degli Annali del cardinal Baronio.
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