In vigor del detto real ordine, che fu sottoscritto a’ 3 di ottobre, fu tosto promulgata la corrispondente prammatica ai 17 di dicembre dal cardinal presidente, il quale fe inoltre un editto, che ne dava conto. Per essa sovrana costituzione a ciascuno era vietato di vendere, comprare, o tenere presso di sè il menzionato tomo del Baronio, sotto la pena di cinquecento scudi ai delinquenti; e nel caso che osassero per la seconda volta di comprarlo, venderlo, o tenerlo, venne loro imposta la stessa multa, e inoltre l’esilio dal regno per cinque anni; che se poi contumaci vi cadevano per la terza volta, erano soggetti ad una doppia pena pecuniaria, e inoltre i nobili banditi per dieci anni, e i plebei condannati alla galera (1308).
      Durante la breve amministrazione del cardinal Doria nacque fra esso, e la città di Messina una grave contesa, che poi terminò a favore dei Messinesi. Era vacato per la morte del marchese di Monte Maggiore l’uffizio di strategoto di quella città, che, come il secondo posto della Sicilia, si provvedea dalla corte di Madrid. Il Doria, mentre si dovea aspettare l’elezione da Spagna, avea risoluto di mandarvi interinamente un soggetto per occupare quel governo. I Messinesi si opposero a questa determinazione, allegando in forza dei loro privilegi, che i vicerè non aveano la facoltà di mettervi uno strategoto interino, e che in caso di morte dovea subentrare all’esercizio di quella carica il giudice eddomadario. Le loro rappresentanze non furono ascoltate dal Doria, il quale non ostante elesse il marchese di Sortino, e lo mandò a Messina per esercitare quello impiego.