La sera degli 8 furono bandite dal regno intorno a quaranta persone, fu prescritto loro il termine di 15 giorni ad ubbidire, e la pena di cinque anni di galera, se nol faceano. A’ 14 dello stesso mese fu promulgato un bando, per cui si vietava di poter portare armi di veruna sorte, e fu ordinato a’ ministri inferiori, e birri, che trovandone alcuno in fragranti, senz’altro processo lo menassero a dirittura sulle galee, salvochè non fosse un nobile, o non costasse la di lui buona vita (1311).
Questi, ed altri regolamenti di giustizia, che furono frequentissimi durante il governo [285] del duca di Ossuna, e che riguardavano ogni ceto di persone, molto giovarono a far ritornare nel regno la tranquillità, e la sicurezza. È memorabile l’esempio dato alla nobiltà nel gastigo di tutto l’intero senato immediatamente che uscì di carica. Era fallito nel banco pubblico, detto in Palermo la Tavola, Francesco Gatti cassiero del medesimo, al di cui fallimento avea molto contribuito l’indolenza del pretore, e de’ senatori, i quali contro le regole di quel banco aveano lasciate delle grosse somme nelle mani del cassiero, che se n’era fuggito. Il duca di Ossuna perciò, subitochè il conte di Buscemi pretore, e i suoi senatori terminarono il tempo della loro magistratura, intimò loro con suo viglietto, che nello spazio di ventiquattr’ore si presentassero carcerati nel castello di Termini, e se fra il termine di otto giorni non consegnavano il Gatti o vivo, o morto, minacciò loro lo sfratto da tutto il regno per anni quattro (1312). Ebbero questi cavalieri il modo di avere nelle mani in capo a pochi giorni il fuggito cassiero, e in conseguenza avendolo consegnato furono sprigionati (1313).
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