III. Che per ogni botte di vino, che si estraea fuori dall’isola, si pagassero tarini diciotto, e tre tarini per ogni barile: che se il vino dovea trasportarsi per mare da un luogo in un altro del regno, allora non doveano pagarsi, che soli tarini dodici per botte, salvochè non dovesse portarsi in Palermo, essendosi offerta questa città, per non interessare la deputazione del [286] regno, di supplire sopra i suoi arrendamenti la mancanza di questa gabella. IV. Che per ogni libbra di seta cruda s’imponesse il dazio di un tarino (1316). V. Che si assoggettassero ad un dazio anche i cuoi, giusta la tariffa imposta negli atti del parlamento. Fu anche stabilito da’ parlamentarî che se il denaro tratto da queste imposizioni non era bastante a compiere il pieno di trecento mila scudi, fosse permesso a’ deputati del regno di ripartire la somma di ciò, che mancava, sopra tutte le città, e terre del regno, dandosi la facoltà alle università delle medesime di convocare il consiglio, e d’imporre nuove gabelle per questo residuo, purchè queste fossero le meno pregiudizievoli alle loro comunità, ed a’ poveri; e all’incontro, se dal ritratto delle stesse imposizioni sopravvanzava qualche somma a’ trecento mila scudi annuali, allora il superfluo dovesse impiegarsi in ristoro de’ donativi per la fanterìa, o per le galee, o pe’ castelli, o per i salarî.
      Noi sospettiamo che in questa assemblea si fosse anche conchiuso di offerire al vicerè qualche straordinario donativo, oltre il solito de’ cinque mila fiorini, e che il duca di Ossuna abbia proibito di farsene motto; imperocchè vediamo annesso agli atti di questa adunanza un dispaccio reale dato in Madrid a’ 14 del seguente ottobre, in cui si prescrive che non si possa in avvenire fare a’ vicerè donativo alcuno straordinario, salvo il solito ordinario.