Questa lettera reale fu poi comunicata a’ deputati del regno a’ 26 di gennaro dell’anno di appresso 1613 (1317). Non ebbe adunque il vicerè altro dono, che quello de’ cinque mila fiorini (1318), e verisimilmente furono accordate al suo cameriere maggiore le oncie duecento, e agli ufficiali le oncie sessanta, sebbene negli atti rapportati dal Mongitore non se ne faccia motto.
Si opposero al donativo di due milioni, e settecento mila scudi, e per conseguenza alle gabelle per esso imposte, i Messinesi. Pretendeano eglino di non stare soggetti a veruna imposizione in forza de’ loro privilegi, che a caro prezzo ottenuti aveano dalla corte di Madrid. Sopratutto però riusciva loro gravissima la gabella di un tarino per libbra sopra la seta cruda, avvegnachè cadea quasi tutta sopra le loro spalle, essendo Messina, e il distretto di essa la parte di Sicilia, che ne produce la maggiore quantità. Il duca di Ossuna, ch’era uomo risoluto, e forte, non porse orecchio alle loro rimostranze, riputando che il ben pubblico dovesse prevalere al privato interesse. Siccome poi si lusingava che la sua presenza sarebbe stata atta a tenere a dovere coloro, che ricusavano di ubbidire, partì da Palermo, e andossene a Messina. Cominciò sulle prime a persuadere colle buone que’ cittadini ad arrendersi alle determinazioni fattesi nel parlamento; ma vedendoli ostinati, passò alle minacce; nè atterrendoli con queste, persuaso che i senatori erano i principali, che sostenevano il partito de’ malcontenti, e che il principale, e il più ostinato fra questi era Giuseppe Balsamo, volea già passare a’ gastighi.
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