L’amore della patria è stato sempre il carattere distintivo de’ Messinesi. Per quanto delle volte sieno accaniti gli uni contro gli altri, se poi occorre di difendere i loro patrî diritti, mettono a parte ogni particolare nimistà, e divengono quai fratelli per sostenerli. Sparsasi la voce per Messina, che i senatori erano vicini ad essere puniti, e che principalmente il Balsamo correa pericolo di perdere la vita, presero tosto tutti le armi, e tumultuarono contro il duca di Ossuna, dandogli carico di perturbatore, e nemico della loro città, perchè volesse spogliarli delle franchigie, che essi godevano. Il vicerè non era figliuolo della paura, e al primo rumore montò a cavallo, corse solo dove erano i rivoltati, e li obbligò colla sua fermezza a deporre le armi, e a ritirarsi. Ma poi riflettendo al risico, in cui si sarebbe trovato, se una nuova sedizione si fosse suscitata, nè volendo punto rilasciare da quanto avea risoluto, s’imbarcò sulle galee, lasciando ordine allo strategoto di fare eseguire quanto si era stabilito nel parlamento, e andossene a Milazzo (1319).
[287] Postosi in sicuro dalle violenze della sconsigliata moltitudine, volle gastigare i capi del tumulto, e chiamando a sè i senatori, i giudici, e il fiscale, li fe carcerare nel castello di Milazzo. Partissi indi per ritornare in Palermo, e vi giunse a’ 3 di novembre dello stesso anno accompagnato colla viceregina da nove galee siciliane. A’ 27 poi dello stesso mese arrivarono i sei senatori, i giudici, e il fiscale di Messina, che stavano in prigione nel castello di Milazzo.
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