Erano le dette galee in un sufficiente numero, giacchè, se si dà fede ai nostri storici, montavano a ventisei, le quali sebbene non potessero attaccare la battaglia contro le forze superiori ottomane, poteano nondimeno frastornare i disegni dei Turchi. Partirono adunque nell’entrare della primavera dell’anno 1614 verso Levante; ma mentre s’inoltravano, surse un fiero turbine, che [289] la disperse, e perciò pensando ciascheduna alla sua salvezza, si divisero, e le napolitane si ritirarono a Napoli, le maltesi a Malta, e le nostre presero la via di Sicilia. Ma mentre queste ritornavano, incontrarono alcune galee corsare, colle quali si azzuffarono, ed ebbero la sorte di sottometterne due. Lo ammiraglio Aragona, contento di questo vantaggio, se ne tornò lieto a Messina (1330).
      Giunse finalmente in essa città l’armata spagnuola sotto il comando del principe Filiberto di Savoia, dove poi si unirono alla medesima colle nostre, che trovò in porto, le galee di Malta, e di Napoli. Il duca di Ossuna, udendo l’arrivo del principe mentovato, si partì, e si recò in quella città così per riverirlo, ed onorarlo (era egli figliuolo del duca di Savoja), come per conferire con esso intorno alla presente guerra col Turco. L’armata ottomana era comparsa nei mari di Malta forte di sessanta vele, anzichè venisse in Messina la flotta spagnuola, e avea sbarcati in quell’isola da cinque mila uomini, i quali sebbene la saccheggiassero, nondimeno non ferono alcuno schiavo, avvegnachè gli abitanti tutti aveano avuta la precauzione di ritirarsi nelle fortezze; e siccome l’artiglieria della Valletta tuonava contro dei Turchi, e delle galee loro, amarono meglio questi di rimbarcarsi, e di veleggiare verso Tripoli (1331).