Il pubblico bene, ch’ei costantemente procurava, non andava disgiunto da’ divertimenti dei cittadini, che questo cavaliere con ogni studio cercava di promuovere. Non vi fu certamente viceregnato più allegro di quello del duca di Ossuna. Il teatro, che allora era allo Spasimo, stava spesso aperto per le rappresentanze, che vi si faceano, a fine di tener lieta la città; sebbene non vi fosse allora il gusto dei balli, della musica, e delle scene, che oggi fanno il maggior pregio dei nostri teatrali rappresentamenti. Scrisse Tommaso Aversa (1346), che il senato di Palermo in riconoscenza al duca di Ossuna per la premura, che si dava di tener lontani da noi i Musulmani, e i Mori corsari, e per le conquiste fatte sopra di essi dal prode Ottavio di Aragona, che noi abbiamo in questo capo rammentate, e per tenere il popolo in allegria [292] fe’ rappresentare nel mentovato teatro una delle commedie di Torquato Tasso. L’uso delle maschere nei tempi carnescialeschi, se non fu introdotto, fu certamente promosso da questo vicerè. In un manoscritto di Giovan Battista Rosa, che rinviensi nella libreria del senato dl Palermo, si legge, ch’egli nell’ultimo anno del suo governo pubblicò un bando, con cui prescrisse sotto certe pene, che nel deretano giorno di carnovale dovessero tutti vestirsi in maschera, e che si vidde in quella occasione la città in gran brio, essendo comparse innumerabili maschere anche nelle carrozze, alcune delle quali aveano stravagantissime vesti. Soggiunge inoltre questo scrittore, che il duca di Ossuna nel dì stesso fe sortire dal regio palagio quattro carri carichi di quarteruole di vino, di carne fresca di giovenchi, e di porci, di carni salate, di presciutti, di salciccioni, e di altro comestibile tirati da bovi, e da cavalli, dietro a’ quali marciavano delle persone mascherate; e che arrivati i detti carri all’arcivescovado furono saccheggiati dalla plebe.
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