Fatte le solite conferenze, nel dì 12 di esso mese i parlamentarî esibirono al sovrano i soliti trecento mila fiorini, prorogarono i donativi triennali, che abbiamo riferiti ne’ parlamenti anteriori; e siccome era giunto il termine dell’offerta de’ 450 mila scudi delle galee per nove anni, e della gabella della macina per anni dieci, eglino si obbligarono a sottomettersi alle medesime per altrettanto tempo, quanto è a dire, offerirono per le galee altri 450 mila scudi per nove anni, e si obbligarono per un altro decennio a pagare a vantaggio del regio erario la gabella della farina. Non si lasciò in questa adunanza di fissare la solita tassa per il salario de’ ministri del sacro consiglio, e di offerire al vicerè i costumati cinque mila fiorini, e il consueto regalo al cameriere, e ai regî uffiziali (1366).
      Il conte di Castro era annojato del mondo (1367), e spirato il termine de’ sei anni, ne’ quali avea amministrato il governo di Sicilia, volendosi ritirare, avea con replicate istanze dimandato il suo congedo, che la corte di Madrid o per compiacerlo, o per altro motivo gli accordò, eleggendo il di lui successore a’ 24 di dicembre 1621 (1368). Udita ch’egli ebbe la mossa del principe Filiberto di Savoja destinato al viceregnato di Sicilia, che arrivò in Messina nel mese di febbraro 1622, si astenne dallo ingerirsi di più nel governo, e si dispose alla partenza. Noi troviamo sottoscritto l’ultimo dispaccio a’ 19 del medesimo mese di febbraro (1369). Come egli si era fatto amare per la sua placidezza de’ costumi, e per la sua pietà, così la città di Palermo gli diede nell’abbandonare, ch’ei facea la Sicilia, gli attestati più sinceri della sua affezione.