Perciò dimandavano che questo profitto non passasse nelle mani del re, ma si lasciasse alla deputazione del regno per anni sei per ricattare, e pagare alcuni capitali presi per questo donativo. Ciò accordato facilmente dal vicerè, i parlamentarî prorogarono il consaputo donativo per altri sedici anni, con che ciò che sopravanzava alle spese delle galee, dei castelli, de’ salarî, e di altro del real servizio nel regno, dovesse anche impiegarsi in estinzione dei capitali (1386). Furono fatti in esso parlamento i soliti doni al vicerè, al suo cameriere maggiore, e ai regî uffiziali.
Un’altra condizione apposero gli ordini dello stato al donativo ultimo dei 300 mila scudi, cioè: che se mai nel tempo che dovesse durare quella prorogazione, accadesse alcun anno, o di fame, o di peste, o di guerra, in cotal caso si dovesse soprasedere dal pagamento, prorogandosi il donativo per tanti altri anni, quanti se n’era sospesa la contribuzione. Con questo patto, che noi non troviamo espresso in altro anteriore parlamento, par che i parlamentarî presagissero ciò, che in pochi giorni accadde. Avvegnachè nel seguente mese di giugno si attaccò in Sicilia la peste, e in particolare nella città di [301] Palermo il contagioso morbo estinse una considerabile parte della sua popolazione. Cessò allora il commercio così esterno, che interno, e il regno tutto non solamente restò privo di abitanti, ma trovossi nella penuria, e nella povertà, che sono gli effetti di quel micidiale mostro.
Non è fuori del nostro tema che noi in succinto rapportiamo questa funesta catastrofe, imperocchè riguarda principalmente questo amabile vicerè, che la Sicilia perdette colla pestilenza.
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