Fu dunque differita questa funzione sino a’ 17 del mese, in cui venendo in una delle galee di Napoli, che colle genovesi l’aveano accompagnato, alla Garita, ivi sbarcò accolto dal senato, dal baronaggio, e dal ministero, e montato al solito a cavallo andò al duomo, dove fe il consueto giuramento, e di là venne al real palagio (1406).
Quantunque il male sembrasse interamente estinto, ei nondimeno e per estirparne ogni radice, e per salvare il regno in avvenire, condusse seco da Spagna due famosi medici, uno de’ quali era di quella nazione, e chiamavasi Francesco Perez, e l’altro, che avea nome Marco Antonio Gualteri, era napolitano. Coll’ajuto di questi periti, e degli altri medici, ch’erano in città, si applicò il nuovo vicerè a smorzare ogni reliquia del contagio, che potesse esservi restata. Ei da principio promulgò un bando, con cui minacciò severissimi castighi contro coloro, che avessero trattato con quelli, su’ quali cadea ancora qualche sospetto, che non fossero del tutto guariti, o che facessero uso delle loro robe. Fatto ciò fu ordinato lo spurgamento, secondo le regole, per otto giorni di tutti gli ospedali degl’infetti, e di due mila, e più case, e di tutta la roba, che in esse trovavasi suscettibile di questo morbo (1407). Finalmente condannò alle forche Demetrio medico greco, che avea contribuito a far ripullulare il contagio (1408).
Non minore fu la sollecitudine di questo governante per assicurare il regno di Sicilia dalle scorrerìe de’ pirati. Era egli dispiaciuto che le galeotte di Biserta, dopo la vittoria ottenuta l’anno 1625 sopra la flottiglia maltese al promontorio Plemmirio, di cui si è parlato nel capo antecedente, con uno insoffribile orgoglio passeggiassero francamente per i nostri mari, ed apportassero calamitosi effetti a’ lidi delle isole, ed al commercio degli abitanti.
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