Giunsero intanto in Palermo gli ordini reali per convocarsi un parlamento straordinario, affine di risolvere ciò, che fosse espediente di fare intorno alla progettata divisione del regno in due provincie. Fu questo chiamato al regio palagio nel dì 6 del novembre seguente. Espose nell’apertura di esso il vicerè la pretensione de’ Messinesi, che al giudizio degli uomini prudenti era irragionevole, e i grandi inconvenienti rilevati già da’ deputati del regno, e dal senato, che ne sarebbono necessariamente risultati. Diede poi conto della lettera, ch’ei ricevuta avea dal duca di S. Lucar primo ministro, il quale gli scrivea, che il re avea sin allora sospesa la risposta al progetto fattogli da’ Messinesi, e con magnanimo disinteresse ricusata avea l’offerta del milione di scudi; e ch’era dispostissimo a non alterare punto il sistema del regno, subitochè il regno si risolvesse a soccorrerlo ne’ bisogni, ne’ quali per le presenti guerre si ritrovava (1428). Uditasi dal parlamento [310] la proposizione del vicerè, e fattavisi dagli ordini dello stato matura riflessione, a’ 9 dello stesso mese di novembre fu risposto, che considerando il regno le grandi, e precise necessità, nelle quali trovavasi il re Cattolico, gli offeriva un donativo straordinario di trecento mila scudi, e allo stesso tempo la città di Palermo, come capitale del regno, esibiva un particolare dono di duecento mila sotto però due condizioni, cioè 1° che si serrasse in avvenire la porta a qualunque pretensione de’ Messinesi intorno alla richiesta divisione, e che giammai in avvenire per qualunque urgentissima causa si potesse più trattare di dividere il regno in due viceregnati, e 2° che la grazia accordata l’anno 1591 a’ Messinesi intorno alla residenza della corte viceregia per diciotto mesi interi, fosse sempre interpretata colla condizione appostavi dallo stesso Filippo II, cioè quando altro non convenisse, e quando la detta residenza non ripugnasse al servizio del sovrano, o al benefizio del pubblico, rimettendosene la osservanza all’arbitrio de’ vicerè, che governeranno; e che non si potesse mai più accordare a’ Messinesi altro privilegio, che alterasse la forma di quello, che concesso avea loro il mentovato avolo di S.M. Dichiararono di poi i parlamentarî, che nel caso che le dette condizioni non fossero osservate, l’offerta, che facevano, s’intendesse per non fatta, e potessero i deputati, senz’altra dichiarazione di giudice, pretendere dalla regia corte la restituzione de’ 300 mila scudi, e il senato di Palermo de’ 200 mila co’ frutti corsi sino al giorno della controvenzione, come se il detto denaro fosse stato sborzato a cambî alla regia camera, rimborzandosene il regno sopra le tande regie, che si devono a sua maestà (1429). Non s’intralasciò in questo parlamento, comunque fosse straordinario, di fare il solito dono al vicerè, al suo cameriere maggiore, e agli uffiziali regî. Il duca di Terranova, ch’era il capo del braccio militare, fu destinato ambasciadore del parlamento, e partì subito per Spagna, dove fe sapere alla corte l’offerta mentovata, che fu accettata (1430), sebbene non si fosse fatto dispaccio, con cui si eludeva ogni pretensione de’ Messinesi, se non sette anni dopo (1431), come diremo a suo luogo.
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