Soprattutto però ne erano irritati i Messinesi, i quali per la lontananza della corte viceregia avvezzi ad una tal quale [314] indipendenza, restarono dispiaciuti, allorchè portatosi il duca suddetto, dopo il parlamento poco fa accennato, nella loro città, si accinse a riformare gli abusi, che vi si erano introdotti, e senza aver riguardo a persona recise colla spada fulminante della giustizia l’aristocrazia, che vi dominava. Trovò egli parecchi di quei cittadini, che ebbero il coraggio di resistervi, e poco mancò che non vi nascesse una tumultuazione. Non si scoraggiò punto l’imperturbabile vicerè, e spingendo oltre le sue ricerche fe prendere il capitano di santa Lucia, ch’era uno dei principali malfattori, e molti altri delinquenti, che fe irremissibilmente appiccare per la gola. Veggendo di poi la disubbidienza di quegli abitanti, abbandonò quella città, e si restituì a Palermo (1446).
Intorno a questo tempo, ed ai 19 di novembre 1633 ebbe egli a soffrire l’amaro cordoglio di vedersi rapire l’unico figliuolo Ferdinando Afan de Ribera marchese di Tarifa nella fresca età di anni diciannove. Era questi un giovane angelico, che punto non degenerava dalla virtù del padre. La di lui pietà, e l’eroiche sue azioni l’aveano reso l’amore della nazione, che amaramente lo compianse. Il vicerè tollerò con uniformità questo fatale colpo, ed ebbe il coraggio di assistere ai di lui funerali, che furono celebrati con somma pompa per lo spazio di nove giorni (1447). Gli accademici detti Riaccesi piansero colle loro rime questa luttuosa perdita.
| |
Messinesi Lucia Palermo Ferdinando Afan Ribera Tarifa Riaccesi
|