Si dispose alla partenza il nostro vicerè; ma prima volle celebrare l’ordinario parlamento, che in verità dovea convocarsi l’anno seguente 1636. Volle egli anticiparlo di pochi mesi, e lo intimò per i primi giorni del seguente ottobre nella sala del nostro regio palagio. Fece sapere nella sua proposta a’ parlamentarî che i pericoli, e le angustie, in cui si era trovata la corte negli anni antecedenti, erano cresciuti a dismisura in quest’anno, trovandosi invaso il ducato di Milano, ch’era come la porta della monarchìa in Italia; e siccome non avea il monarca modo di soccorrerlo altrimente, che per gli ajuti della Sicilia, perciò a nome del governo chiese agli ordini dello stato, che addimostrassero in questa occorrenza l’animo loro sempre pronto a sollevare la monarchìa. Soggiunse, che il re si era determinato di venire di persona in Italia per difendere i suoi stati dalle armi nemiche (1453).
Si radunarono i tre bracci del parlamento nel tempio di S. Maria degli Angioli, per esaminare la proposizione del vicerè, e cercare i mezzi da compiacere il sovrano. E dopo le solite sessioni a’ 13 dello stesso mese diedero la seguente risposta, ch’era il risultato di quanto aveano risoluto. Cioè: ch’eglino confermavano al re i soliti donativi ordinarî, che abbiamo altre volte additati, e per donativo straordinario nelle presenti urgenze offerivano al monarca perpetuamente l’esazione di un tarino per ogni libbra di seta al mangano, che già montava ad oncie diciotto mila, ed ottocento, cioè a quarantassette mila scudi, col diritto di poterla vendere, per servirsi liberamente del capitale, che ne avrebbe tratto, per soccorso delle presenti guerre, e per ricomprare alcune rendite del real patrimonio, che negli anni antecedenti per simili bisogni si erano alienate.
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