Si trattenne pochi mesi fuori della Sicilia il conte di Assumar. Ritornò poi sulla fine di dicembre dello stesso anno, e riprese le redini del governo. Noi troviamo l’ultimo dispaccio del cardinal Doria a’ 22 di dicembre di esso anno (1485), e perciò intorno a questo tempo dovette recarsi in Sicilia il detto vicerè. S’egli sia andato prima a Messina, e poi sia venuto a Palermo, ovvero siesi portato a dirittura in questa capitale, ci è ignoto, non trovandolo segnato nè nelle opere stampate, nè nelle opere manoscritte. Noi certamente osserviamo, che egli era in questa città nel mese di marzo dell’anno seguente.
Trovandosi dunque il detto conte in Palermo si accinse a dare un miglior ordine alla deputazione degli stati ordinata fin dall’anno 1589 dal conte di Macqueda ad oggetto di sollevare i baroni, ed i loro feudi aggravati di enormi debiti, che assorbivano l’intrinseco loro valore. E siccome conobbe che la principale sorgente della rovina della nobiltà, e di ogni altro ceto inferiore era lo eccessivo lusso, che vi si era introdotto (1486), per darvi un opportuno riparo, col voto del sacro consiglio promulgò la famosa prammatica (1487), con cui vietò l’ostentazione esorbitante dei cavalieri, dei ministri, e delle persone agiate, di cui non sarà discaro ai nostri leggitori di intendere il contenuto.
La detta prammatica adunque prescrive, che non si potesse in avvenire indorare, o inargentare qualunque opera di fabbro, parature, camere, statue, carozze, portantine, ornamenti di stanze, o altro che sia, ed anche la carta, salvochè non sieno per uso di chiesa.
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