E in fatti porta la fama, e noi in appresso lo comproveremo co’ fatti, ch’ei fu un signore splendidissimo, e lontano da qualunque privato interesse.
Ma a’ doni della fortuna accoppiò egli quelli dell’animo. Niente altiero della sua nascita, e delle sue ricchezze, era affabile con tutti, umano, e cortese, e trattava con cotale [326] dolcezza i Siciliani, che n’era divenuto l’idolo. Per quanto però fosse egli manieroso, e gentile, non lasciava di mostrarsi rigoroso nel gastigare i delitti, e nello zelare per la giustizia. Noi abbiamo molti esempî, che mostrano quanto egli fosse inesorabile nel punirli. Ne rapporteremo alcuni raccontati dall’Auria (1502). Eranvi due notai, uno de’ quali chiamavasi Giovanni Poppa, e l’altro Michele Martoni. Costoro rubavano impunemente i denari de’ particolari, che li tenevano nel banco pubblico, falsificando le carte, che diconsi polizze in tavola. Scopertasi, e verificatasi codesta frode, ordinò il vicerè che questi due notai fossero appiccati alle forche, che fe alzare nella piazza Vigliena, e che le loro teste restassero appese dentro le gabbie di ferro sulla facciata del palagio senatorio per esempio degli altri. Ad una vecchia, che avea uccisa la nipote, verificatosi il delitto, e trovatasi degna di morte, prescrisse il termine di sole quattro ore per disporsi a morire. Un sicario per nome Cinquemani, che avea ucciso un cavaliere palermitano per commissione di un altro nobile nella piazza presso la chiesa di Casa Professa degli espulsi gesuiti, fu lo stesso giorno, che commise l’omicidio, posto ivi stesso sulle forche.
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