Lo avea egli intimato in Palermo per la metà di agosto dell’anno 1642, e fattasene l’apertura, questo vicerè in brevi note additò il bisogno del sovrano; e mostrò che egli sperava dallo amore dei Siciliani, che gli avrebbono somministrate truppe, e denaro, di cui avea necessità, per reprimere i sollevati; compromettendosi che questo monarca avrebbe loro accordate le grazie, che si sarebbono dimandate (1503). Gli ordini dello stato udite le premure, nelle quali era il re, nel dì 18 del mese, dopo di avere offerti i soliti donativi, e prorogati quelli, che si erano fatti per un determinato tempo, richiesero che fossero abolite le due gabelle imposte nel parlamento antecedente, cioè della carta bollata, e del due per cento nelle compre, e nelle vendite, che recato aveano un indicibile danno al commercio, e alla consecuzione della giustizia, ed in cambio di esse offerirono cento dieci mila scudi annuali perpetui, colla facoltà di poterli il re alienare, vendere, o dare, come ricercava il suo real servizio: incaricando le università, che si tassassero per la somma di trentamila, e per gli altri ottantamila volendo che s’incaricassero ai possessori di vigne basse, di pergole, di olive, e di celsi giusta la somma prescritta negli atti del parlamento (1504).
Toccante poi agli aiuti straordinarî di denaro, e di soldatesche, noi troviamo che il vicerè dimandò, che si facesse la leva di sei mila uomini da mantenersi a spese del regno. I parlamentarî, comunque desiderosi di fare ogni dimostrazione del loro attaccamento al servigio del sovrano, non accordarono se non l’arrollamento di tre mila, ed obbligarono i baroni, e gli altri titolati, che prendeano investitura, a somministrarne al sovrano altri mille, e cinquecento, i quali [327] fossero ben vestiti, e provisti delle armi necessarie all’uopo.
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