La plebe soffre con indifferenza tutti gli altri pesi; ma quando vede scarseggiare, e minorare di peso, o di misura, i generi di prima necessità, non sa contenersi, e per lo più dà in eccessi perniciosissimi allo stato. L’impicciolito pane fu l’oggetto della comune indignazione. Una sciocca donnicciuola (1524), o un [332] omicciattolo (1525), come ad altri è piaciuto, attaccato un pane ad una canna, ne mostrò al popolo la picciolezza. Questa prima fiaccola di tumultuazione s’ingrandì in poche ore; tutto il mondo correa dietro a quel pane, si cominciò a mormorare del senato, il senatore Dolce fu creduto l’autore di questa novità, e su questa voce si presero delle fascine, e attaccato fu il fuoco alla casa di esso, e furon minacciati gli altri senatori di un simile infortunio, se tantosto non restituivano il pane all’antico peso. Furono allora date le provvidenze, che le circostanze suggerivano, e furono immediatamente spediti i corrieri a Palermo, per avvisarne il vicerè marchese de los Veles. Questo signore, malgrado che fosse entrato l’inverno, senza frapporvi dimora partì, e volò alla tumultuante città. La sua presenza sedò il movimento popolare; presi, e strozzati i principali capi, ognuno temendo il gastigo, si astenne dal tumultuare. Furono provveduti gli abitanti del grano necessario, e tranquillossi Messina (1526).
Quietata la città suddetta, si affrettò il vicerè a tornare in Palermo, dove temea che la carestia non cagionasse un pari disordine. Vi giunse egli nei primi di febbraro 1647, e ai 20 di esso mese celebrò nel duomo coll’intervento del senato, e del sacro consiglio i funerali del morto principe ereditario (1527). Trovò egli con suo sorprendimento la città più popolata, che pochi mesi prima, quando ei partì, non era.
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