Gonfi i consoli, che il governo stesse appoggiato alla loro fedeltà, si applicarono da dovvero ad assicurarsi de’ capi della sedizione. Furono presi il carbonajo, e l’ortolano, trascinati alla coda de’ cavalli, e impiccati alla piazza Vigliena. Antonino Pilosa fu condannato ad esser tenagliato vivo, tirato da un carro, e poi strozzato sulle forche all’altra piazza di Bologna, e il di lui cadavere appeso per un piede ad un’altra forca piantata nel Cassero. Gli altri rei furono per allora carcerati.
Rasserenati alquanto gli animi de’ cittadini, si pensò a dar ordine alla città; e poichè il popolo non volea rimesse le antiche gabelle, ch’erano necessarie per sussistere il senato, il vicerè, comunque non ne avesse la facoltà, in questo caso estremo elesse i due senatori popolari, i quali potessero colla loro efficacia, e col loro credito indurre la plebe a riconoscere la necessità delle gabelle. Furono [335] questi Francesco Salerno, e Simone Sabatini a gran compiacimento de’ popolari, che ne diedero varî segni di allegrezza (1535). Si proposero allora diversi mezzi per ristorare il senato, ma sempre senza frutto, stante la renitenza della plebaglia, che ricusava di soffrir pesi. Il vicerè, temendo che la forza del basso popolo, e degli artigiani non divenisse così grande da dar la legge al governo, avea fatti di soppiatto entrare alcuni soldati di cavallerìa in città, e la nobiltà sospettando sempre il peggio, cominciava a ritirarsi a’ proprî feudi. Se ne allarmarono gli artisti, ed obbligarono il vicerè a far tosto sortire la truppa; e a far loro consegnare i baluardi della città; e così egli ordinò a’ 25 di maggio.
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