Il contagio della rivoluzione si dilatò per tutto il regno. Catania, Girgenti, Morreale, Termini, Vicari, Carini, Cammarata, S. Giovanni, Castelvetrano, Siracusa, Nicosia, Cefalù, S. Angelo, Lentini, Randazzo, Bronte, Sortino, Modica, Prizzi, Coriglione, Patti, Mazàra, Sciacca, S. Marco, Naso, Tortorici, Musulmeli, Alcamo, il Burgio, ed altre città, e terre del regno soffrirono le stesse disgrazie. Tumultuò in detti luoghi la plebe, bruciò gli archivî, disserrò le carceri, saccheggiò le case de’ ricchi, fe abolire le gabelle, incendiò le case de’ governatori, e de’ ministri, e pretese di aver parte coll’esempio della capitale nel governo civile (1536). La sola città di Messina, (e ognun ne intende il perchè,) fu tranquilla; anzi scrisse al vicerè esibendo la sua opera, per reprimere i sollevati (1537).
In Palermo intanto, dove sembrava che ogni cosa fosse tranquilla, si studiava il modo da risarcire i danni della senatoria cassa, e siccome la plebe non volea soffrire gabelle, si tenne un consiglio al primo di luglio nella sala di quel magistrato, a cui intervennero tutti gli ordini della città, per imporre de’ dazî sopra i benestanti, che bastassero a fare almeno circolare il denaro, e pagarsi dal banco a’ così detti Bimestranti (1538) i frutti del denaro, che sborzato aveano al senato. Furono perciò di comune consentimento imposte cinque gabelle, che non toccavano direttamente il popolo, ma cadeano a danno de’ ricchi, che furono credute bastevoli a bilanciare il patrimonio della città (1539).
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