Siccome ciascheduno di essi si esibiva a mettersi alla testa della plebe, deliberarono di giocare a sorte chi dovesse prima comandare; e posti i loro nomi nella misura del vino, detto fra noi volgarmente quartuccio, che fu l’infame bussolo di questa trama, sortì il primo Giuseppe di Alesi. Si giurarono scambievolmente fedeltà, e segretezza, e partirono per ritornarsene a casa col proponimento di suscitare il popolo, e di compire [337] la congiura sotto la direzione dell’eletto capo. Giuseppe d’Alesi dunque stabilì che nel dì 15 di agosto, in cui soleano la nobiltà, il ministero, e i cittadini andare a spasso, per visitare ancora alcune chiese della Vergine collocate fuori di Palermo, dovesse scoppiare la rivoluzione, il di cui obbietto dovea essere il disfarsi del vicerè, di tutti i nobili, e ministri, e di chiunque osasse di opporsi (1543).
Per quanto occulta fosse questa trama, poichè dovea comunicarsi a molti, non potè non penetrarsi. L’inquisitor Trasmera, e i due senatori popolari n’ebbero sospetto, e ne avvisarono il vicerè, il quale credendo il male più lontano di quel che era, trascurò di darvi in tempo le opportune provvidenze, nè si scosse, che lo stesso giorno, in cui dovea scoppiare la mina. Chiamò dunque a sè i mentovati Giuseppe Errante, e Francesco Danieli, ai quali fe capire ch’egli era a giorno della congiura; ma si lusingava che fosse una favola, o che i consoli non vi avessero parte, e con buona grazia li ammonì, acciò si opponessero ai traviamenti della plebaglia; facendo capire che il male sarebbe poi ridondato in danno di essi, e delle loro famiglie.
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