Di poi si parlò di far ritornare il vicerè in città, e come vi era chi opinava che segli dovesse accordare la guardia de’ soldati spagnuoli, ed i popolari si opponevano, pretendendo che appartenesse loro la custodia del palagio reale, l’Alesi decise che s’invitasse S.E. a ritornare in città, e si lasciasse al di lui arbitrio la scelta della guardia. Si propose in secondo luogo un indulto generale da’ 21 di maggio sino a quel punto, e si convenne di chiederlo al vicerè. Si richiese in terzo luogo, che il castellano di Castellammare fosse tolto, e in sua vece fosse eletto un cittadino palermitano. L’inquisitore Trasmera ebbe l’arte di eludere questa dimanda, facendo capire all’Alesi, ch’era cosa ingiusta lo spogliare dalla carica colui, che non avea fatto alcun male alla città, e avea servito fedelmente il re. Non fu del pari agevole il riparare alla quarta, e quinta dimanda, la prima delle quali ricercava la deposizione di tutti i ministri, e l’altra l’abolizione delle gabelle. Bisognò accordarle, accomodandosi alle circostanze, e solo furono lasciate nello stesso stato la regia dogana, e le tande, e i donativi regî. Erano già le ore due della notte, e su molti altri capitoli, su quali erano nati de’ contrasti, nulla si era stabilito. Fu perciò sciolto il congresso, riserbandosene ad altro tempo la risoluzione; e intanto l’Alesi stracco si ritirò nella camera del padre Giardina per mutarsi di panni.
Questo teatrale effimero monarca continuò nel seguente giorno ad operare da sovrano, dando ordini per l’annona anche nel regno, dove non era riconosciuto per capo, e gastigando colla frusta, e coll’esilio quelli stessi, che lo aveano esaltato.
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