Considerando di poi che la forza in mano del popolo potea essere anche a sè perniziosa, proibì sotto la pena della vita, che alcuno potesse in avvenire portare armi da fuoco. Fè di più: per rendersi il vicerè benevolo scarcerò gli Spagnuoli, che stavano presi (1547). Ma i consolati cominciarono a diffidare dello Alesi, e particolarmente i collegi degli argentieri, e de’ pescatori, che da quanto operava dispoticamente contro quelli ancora, che gli erano stati affezionati, cominciarono a riputarlo come un oppressore. Quindi fu, che tenutasi nello stesso tempio di S. Giuseppe a’ 18 di agosto l’assemblea, per udirsi le risposte del vicerè, che non ricusava di ridursi al castello, qualora fosse questo munito di viveri, e di attrezzi di guerra, ed accresciuto di due compagnìe italiane, e qualora si levasse da’ due baluardi, che potevano offenderlo, l’artiglierìa, eglino, malgrado l’inclinazione dello Alesi a compiacerlo, si opposero ostinatamente, in guisachè nulla potè indi conchiudersi.
      Questi nuovi rumori, e torbidi abbatterono la nobiltà, e i buoni cittadini. I nobili, e i benestanti si armarono per difendere le loro case, e le loro donne si ritirarono ne’ monasteri, dove credeano di potere starsene più sicure. Intanto i senatori, i regolari, e coloro, che non erano in odio alla plebe, non intralasciavano di far rilevare a’ consoli da una parte, che nelle vertigini presenti il maggior danno era il loro; giacchè cessando di esercitare le loro arti, mancava ad essi il guadagno, con cui potessero sostenere le proprie famiglie: e dall’altra allo Alesi, che la rovina della città sarebbe stata nociva alla di lui sicurezza, e che ritornando il vicerè sarebbesi restituita la tranquillità nella capitale, e per essa il buon ordine.