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      Ciascheduno temea per sè, pochi essendo della vil feccia, e degli artisti, che non avessero avuto participio nella prima, o nella seconda tumultuazione.
      La morte dello Alesi, e de’ suoi complici non fu bastante ad affogare il fermento, ch’era nel popolo. Quando un corpo ammalato è vicino a distruggersi, è difficile che per una crisi favorevole, che gli sia arrivata, tutto in un tratto risani. Restano le reliquie del morbo, le quali, se non si estinguono, sono talvolta atte a farlo ripullulare più fieramente di prima. La nobiltà, che non vedea ancora tranquilla la città, si era ritirata fuori di Palermo, e il marchese de los Veles, quantunque si fosse fatto vedere, e fosse andato al duomo a render grazie all’Altissimo, pur [342] nondimeno non si tenne sicuro, che nel castello, da cui non volle mai allontanarsi. Sospettavano perciò il popolo, e i collegi degli artisti di una congiura del vicerè, e del baronaggio, che aspettavano migliori circostanze per vendicarsi della loro audacia. Accrescevano i timori popolareschi le vaghe notizie, che andavano di giorno in giorno spargendosi (1551), in maniera che fu la città vicina a rivoltarsi di nuovo.
      Si provarono alcuni a divenir capipopoli, e fra gli altri un carbonaio, di cui si tace il nome, che stava alla guardia del bastione del Trono. Costui fu preso, e avendo confessata la trama, che avea ordito, fu ai 4 di settembre strangolato e tenuto appeso per un piede fino alle ore sedici. Di poi staccatagli la testa dal busto, fu questo trascinato per la città ad una coda di cavallo, e quella portata per le strade attaccata ad una picca (1552). Un altro giovane scapestrato, cioè Carlo Ventimiglia, figliuolo bastardo di Giovanni Ventimiglia cavaliere di Malta, sulla fine dello stesso mese imprese di sollevare la città. Fe egli affiggere alla loggia dei mercatanti un cartello, in cui a nome del Liberatore della patria si ordinava agli artisti, che stessero all’erta contro gl’inganni dei loro consoli, che si erano accordati colla nobiltà per passarli a fil di spada; e che attendessero fino alla domenica seguente 29 del mese, nel qual giorno si facessero trovare di buon mattino armati nella piazza della Marina, dove avrebbono veduto un cavaliere armato, che avrebbe portato uno scudo, in cui sarebbono dipinti tre gigli d’oro, e un leone con una sbarra, il quale li avrebbe sottratti dalla oppressione, essendo nato da quell’antico sangue, che avea più volte liberata la patria dalle mani dei tiranni.


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Storia cronologica dei vicerè luogotenenti e presidenti del Regno di Sicilia
di Giovanni Evangelista Di Biasi
Stamp. Oretea
1842 pagine 1481

   



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