Ora nel dì di s. Martino essendo nata briga fra un figliuolo di un notaio, ed uno dei figli del Cacciamila, questi entrato in casa prese una pistola, la scaricò contro il suo nemico, e lo ferì mortalmente. Grande fu il rumore, che se ne fe in città, in guisachè il Cacciamila fu costretto coi suoi a rifuggiarsi al collegio vecchio dei PP. Gesuiti. I popolari, così artigiani, che plebei, volendo vendicare il torto fatto al notaro, nè trovando a casa loro i Cacciamila, vennero a quella dei Gesuiti, dove seppero che si erano ricoverati, minacciando quei padri di far fuoco al loro collegio, se non consegnavano i delinquenti. Corse il pretore, e qualche ministro, per persuaderli ad allontanarsi da quel proponimento: promettendo, che i Cacciamili sarebbono stati severamente castigati. Ma come guarire le infermità di questo corpo frenetico? Bisognò operare a modo dell’ammalato, e insieme far comparire, che la mano della giustizia, non già il volere della plebaglia era quello, che castigava i delitti. Per ordine del marchese di Monte Allegro il Cacciamila fu privato di carica, e coi suoi figliuoli bandito dalla città.
Il cardinal Trivulzio appena udita la morte del marchese de los Veles, e la sua elezione, partì sulla stessa galea siciliana, che gliene recò la notizia, e accompagnato da un’altra genovese, che gli avea data il principe Giovanni d’Austria, arrivò alle viste di Palermo ai 17 dello stesso mese di novembre. Era questi un cavaliere milanese di una famiglia assai distinta, figliuolo del principe Teodoro Trivulzio, e di Catterina Gonzaga.
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