Dopo di ciò dovevano impossessarsi del tesoro, e dare il sacco alle case de’ ricchi, [350] e poi bruciarle per apportare in città una maggiore confusione.
Era già quasi arrivata l’ora di questa tragedia, che non sarebbe stata meno funesta di quella delle polveri, che l’anno 1605 si era ideata in Inghilterra (1571), e nulla se n’era penetrato da alcuno, quando sul termine dell’uffizio delle tenebre giunse nella cappella il maestro di campo Francesco Castiglia, il quale segretamente confidò al cardinale la trama, che in quel punto avea saputa da un certo Gianbattista Carracino. Impallidì il Trivulzio, ed avvisati i nobili acciò si ritirassero alle loro case, sortì per una porta segreta con disegno di ritirarsi al castello; ma ne fu dissuaso dal pretore, che coll’esempio del marchese de los Veles gli mostrò, che, se dava segno di timore, i sollevati diverrebbero più insolenti. Andossene dunque dentro una ordinaria portantina per vie inospite al regio palagio, ordinando che la sua carrozza chiusa con banderuole, come allora costumavasi, cogli alabardieri, e la servitù ritornasse per la solita strada del Cassero. Il pretore intanto chiamò i consoli, che conoscea i più fedeli, e raccomandò loro la custodia della città, facendo a’ medesimi capire, che si era sul punto di vedere scoppiare una nuova sollevazione. Il cardinale fe subito venire al palagio il consultore, il procurator fiscale, l’inquisitore, e il giudice della monarchìa, per sapere cosa fosse espediente di fare. Il pessimo de’ mali era, che non si sapea chi mai fosse questo capopopolo, quali i di lui seguaci, e quale il piano del loro nero disegno.
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