Furono inoltre intimati tutti quelli, che ne aveano conoscenza, di rivelare le robe, e gli altri beni occultati dei congiurati, ed i notai ebber ordine fra lo spazio di quattro giorni di dar nota di tutti i contratti fatti dai medesimi, ed i debitori di palesare nello stesso termine i loro debiti (1605).
      Fatto il processo, i giudici pronunziarono la loro sentenza, che fu eseguita nei mesi di gennaro, e di febbraro, che furono molto tragici. Nel dì 22 di gennaro fu prima il Pesce decapitato, e il Potamia affogato ad un palo. Nel seguente giorno comparve la testa dello stesso Pesce affissa ad un chiodo su di una trave nella piazza Vigliena, e il cadavere del Potamia legato per un piede ad una forca. Fu di poi lo stesso corpo del Potamia squartato, e le membra si videro affisse fuori la città nel luogo volgarmente detto lo Sperone, dove ad esempio dei viandanti soleano attaccarsi i quarti dei corpi dei banditi, e degli assassini di strada (1606). Ai 26 del seguente mese di febbraro furono strozzati, quantunque privatamente, il conte di Ragalmuto, e l’avvocato del Giudice, e lo stesso giorno l’abate Gaetani, che come sacerdote quattro giorni prima era stato degradato dagli ordini sacri, fu pubblicamente decapitato nella piazza del castello, ed insieme fu strozzato Mercurio Micciardo maggiordomo del conte del Mazzarino (1607). Restava il Paroco della chiesa di S. Nicolò la Kalsa Simone Rao, il quale era vicino a soffrire lo stesso gastigo; ma contro ogni aspettazione costui (1608) fu salvato sotto il pretesto, che ei avesse il primo di tutti rivelata al p. Spucches degli espulsi gesuiti la cospirazione, del pari che avea fatto il conte di Mazzarino al serenissimo vicerè. Così fu castigata questa ultima congiura di Palermo (1609).