Qualunque ne sia stata la cagione, egli è certo, che appena prese egli possesso della carica di presidente, se ne cominciò a mormorare, e si viddero affissi per la città alcuni cartelli, che additavano abbastanza le disposizioni di quella plebe pronta a tumultuare contro di lui. Egli perciò atterrito pensò di sottrarsi da quella città, e di venirsene alla capitale. Siccome però dubitava, che partendo pubblicamente potea essere arrestato dal popolo, o accompagnato colle fischiate, scelse di partire di nascosto, e andossene in una portantina a Milazzo, lasciando ordine agli altri magistrati, che come meglio potessero, cercassero il modo di scappare, e di venire a quella città, per poi passare a Palermo. Lungo, e disastroso fu il viaggio di questo governante co’ ministri della sua corte, avendovi consumato lo spazio di nove giorni. Fu egli incontrato alla Baccarìa, dieci miglia distante dalla capitale, dal duca di Villareale ambasciadore del senato, e presso le porte postosi nella carrozza di questo magistrato entrò a’ 12 di novembre, e venuto alla cattedrale giurò la conservazione dei privilegi della città (1667).
L’arcivescovo monsignor Martinez Rubeo avea molto prima ottenuto il dispaccio di presidente del regno, nel caso che partisse il Redin. La corte di Madrid intesa, ch’era probabile che alla morte del gran maestro sarebbe stato assunto al magistero il ridetto luogotenente, avea già destinato il successore. Il dispaccio reale è dato in Madrid a’ 21 di luglio 1657 (1668). Egli dunque udendo la promozione del Redin a gran maestro di Malta, si affrettò a venirsene a Palermo, così per prendere possesso della sua chiesa, come per assumere il governo del regno.
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