Non contento il conte d’Ayala della carcerazione del Fama, volendo vieppiù vendicarsi de’ Messinesi, ordinò, che nella scelta dei nuovi senatori, che allora faceasi dal consiglio della città, non potesse essere promosso alcuno di coloro, ch’erano stati in quella carica nell’anno antecedente; e poichè seppe, che non ostante quest’ordine il marchese di Condagusta era stato confermato nello impiego di senatore, lo chiamò a Palermo a discolparsi per non avere ubbidito. Volendo il senato isfuggire l’affronto, che costui ricever potea, con sua consulta rappresentò, che questo marchese era ammalato, e che correa rischio la di lui vita, se intraprendea questo viaggio. Non ebbe il vicerè riguardo a questa rimostranza, ed ordinò che fosse carcerato, se non partiva: laonde questo cavaliere, per non esporsi ad esser peggio trattato, si determinò a venire in Palermo, dove fu trattenuto, senza potersene ritornare all’esercizio della sua carica.
Per poi vieppiù mortificare quei cittadini, spedì nella loro città Vincenzo Finocchiaro giureconsulto catanese, come sindicatore del senato, il quale arrivato a Messina cominciò con sommo rigore ad esaminare l’amministrazione dell’annona, e a mettere molti in prigione per iscoprire la verità. Questi due passi dati dal conte d’Ayala irritarono viemaggiormente i Messinesi. Allora fu, che si convocò il consiglio de’ trentasei, che veniva detto il gran consiglio, che solea chiamarsi ne’ casi estremi dal senato, quando da sè non potea dar riparo alla quiete della città. Furono in esso esposti gli aggravî, che i cittadini soffrivano dal nuovo sindicatore, e fu da voti unanimi di quel congresso conchiuso di ricorrere direttamente alla corte, per pregare il re Cattolico, che li liberasse dalla oppressione, ch’eglino credevano di sofferire.
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