Questa determinazione non potè essere così occulta, che non ne fosse avvertito il vicerè, il quale fremendo di sdegno, chiamò a Palermo in un determinato spazio di giorni due senatori, ch’erano i principali motori della risoluzione, sotto la pena della confiscazione de’ loro beni, se non tantosto ubbidivano al viceregio comando. Mandò allora quel senato all’irritato Ayala il principe di Malvagna, come ambasciadore della città, acciò gli rappresentasse, che cotali ordini ferivano i privilegi accordati da’ monarchi alla medesima. Il vicerè fu sordo, e volea che si eseguissero i suoi comandi, e l’inviato, che neppure fu ricevuto con questo carattere, se ne ritornò, senza [377] nulla ottenere. I due senatori Russo, e Cirino, ch’erano stati intimati a portarsi a Palermo, non vi vennero, essendosi in Messina risoluto, che non erano obbligati di eseguire un ordine, che rovesciava i loro diritti. Per comando adunque del conte furono loro confiscati i beni, che possedevano, e inoltre fu la città aggravata con nuovi pesi, senza che si avesse riguardo alle loro esenzioni.
Questo affare di giorno in giorno diveniva più serio. I Messinesi, che per natura non sono punto pieghevoli, presero le armi, per difendere i privilegi della loro patria; e passando da uno eccesso in un altro, avendo udito che in Milazzo, che appartenea al loro distretto, eravi un percettore regio mandato dal vicerè con cento soldati spagnuoli, affine di esigervi le contribuzioni, credettero lesa la loro giurisdizione, ed armate cinquecento persone, sotto il comando di Carlo Lagana, ch’era uno de’ senatori, le spedirono a quella città con ordine di assicurarsi di quel ministro, e di condurlo a Messina.
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