Costoro di poi correndo al regio palagio gridarono, che se non erano contentati, si sarebbono vendicati di questi nemici della patria, e avrebbono saccheggiate, ed incendiate le loro case. Era il duca di Sermoneta uomo senza coraggio; e temendo egli, che il furore di quei popolari non si rivolgesse contro di sè stesso, fe pregare i ministri che si erano negati, acciò si sottoscrivessero: e costoro impauriti, volendo salvare la pelle, e i proprî beni, loro malgrado apposero il loro nome a quella ingiusta sanzione. Ciò non bastò per sedarli; ricercarono, che il vicerè di persona li assicurasse, che la legge era fermata da tutti i ministri, e poichè era notte, dovette il duca comparire ad un balcone del regio palagio in mezzo a due torchi di cera, ed attestarlo (1698).
Di quanto era occorso in Messina dovette il duca di Sermoneta dar conto alla corte, dove erano arrivati due memoriali a nome della città di Palermo, ne’ quali si rappresentava la ingiustizia, che colla detta prammatica faceasi a tutto il regno. Ivi giunse dopo questi ricorsi il paroco Francesco Vitrano spedito dalla deputazione del regno, il quale fe riconoscere i disordini che sarebbono nati da questa legge, e il cattivo governo del vicerè, che subornato dal suo segretario, e da’ doni de’ Messinesi procurava la destruzione del regno. Indarno lo Ansalone, e il Sopramonte si affaticarono per affogare questi ricorsi; gli altri reggenti, che non erano tratti dallo spirito di partito, conobbero la esorbitanza del privilegio accordato a’ Messinesi, e la parzialità del vicerè per questa città: e perciò consultarono, che fosse espediente lo abolire la prammatica estorta a forza, e il privilegio nocivo a tutta la nazione.
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