Non fu trascurata in questo parlamento la offerta dei cinque mila fiorini al vicerè, e i soliti regali al suo cameriere, e ai regî uffiziali (1736).
Comechè siesi rimossa ogni sospicione di [387] repentino assalto per parte dei Turchi, che erano andati a Tripoli, ebbe nondimeno il principe di Lignè a temere un nemico assai più formidabile, per cui l’arte militare punto non giovava; ed era d’uopo per isfuggirlo, il far uso della vigilanza, della destrezza, e della politica. Cadde assai sterile, e meschina la ricolta di quest’anno, e appena pochi mesi erano scorsi dal tempo della messe, che si cominciò a sentire la fame per tutto il regno, la quale per l’avarizia dei possessori, che seppellivano i loro grani, sulla speranza di poterli poi vendere a più caro prezzo, erasi considerabilmente accresciuta. Arrivavano alla giornata frequenti ricorsi dalle università, che dimandavano le provvidenze dal governo. Sopratutto la carestia facea sentirsi nella capitale, la quale oltre di essere popolatissima, veniva giornalmente aggravata da migliaja di persone, le quali correvano da tutte le città, e terre per satollarsi. Scrive Vincenzo Auria (1737), che la perdita giornaliera, che facea il senato, che mantenne costantemente lo stesso peso del pane, montava a tre mila scudi, e il duca della Miraglia (1738) attesta, che il debito allora fatto dal senato fu d’un milione di scudi; qual somma viene più verisimilmente dimezzata dallo stesso Auria (1739), e ridotta a soli cinquecento mila. Accresceano la penuria della capitale le caravelle de’ Turchi, che inquietavano i nostri mari, e predando le barche che incontravano, spesso s’impadronivano de’ grani così necessarî a sussistere: ed anche i Messinesi, che privi ancora eglino di questo sostentamento, tenevano de’ vascelli armati alla guardia del Faro, i quali trattenevano tutte le navi, che da Puglia recavano frumento in Palermo.
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