Ma non lasciò il senato di fare delle rimostranze al principe di Lignè, facendogli chiaro vedere che lo strategoto era la molla di tutti i movimenti popolari, che finallora erano accaduti. L’affare era troppo serio, ed ogni indugio a porvi riparo non sarebbe stato, che colpevole. Il vicerè adunque chiamò a consiglio i ministri, e propose loro, se nelle presenti critiche circostanze fosse espediente, ch’ei andasse di persona a sedare quella città. Sembrò ad alcuni di essi, che non fosse prudente condotta lo avventurare colui, che rappresenta il sovrano, in mezzo ad un popolo volubile, che sebbene si mostrasse unito allo strategoto, potea in un fiato cambiare di partito. Prevalse nondimeno l’opinione di coloro, che suggerirono che era necessario ch’ei andasse, potendo per ventura vacillare l’autorità del governo, s’ei tardava a portarsi in quella città. A’ 27 dunque dello stesso mese di aprile partì il principe di Lignè con tre galee siciliane, conducendo seco parecchi ministri sperimentati, che potessero in quel frangente consigliarlo, e seicento soldati spagnuoli per guardia della sua persona, e lasciando in Palermo la moglie, e i proprî figliuoli. Mandò inoltre a Napoli Pietro d’Aghirre, che abbiamo di sopra mentovato, cui incaricò di dar notizia di tutto ciò, che era accaduto in Messina, a quel vicerè, e di pregarlo, affinchè facesse marciare alla volta di quella città il battaglione di Napoli, e vietasse ai Calabresi di passare lo stretto (1752). E perchè la principal sorgente di quei disastri era stata la penuria dei grani, condusse seco due vascelli carichi di frumento.
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