[391] Malgrado questi singolari favori fatti ai Messinesi, non ne fu il principe di Lignè ricompensato gratamente. Gli umori peccanti di quell’infermo corpo, comechè sembrassero per allora digeriti, non erano nondimeno che appiattati sotto l’ingannatrice cenere di una finta tranquillità; un menomo urto era capace di perturbarli, e di richiamarli nell’antico disordine. Appena questo vicerè per il buon ordine delle cose comandò che deponessero le armi, ebbe il dispiacere di vedersi disubbidito; e in una funzione ecclesiastica, a cui dovea egli intervenire nella chiesa di S. Antonio, sentì con rincrescimento che i suoi ministri vi erano stati strapazzati da un certo Antonio Scopa, e da due cavalieri messinesi Vincenzo Cavatore, e il canonico Gio: Battista Crisafulli (1754). Non andò impunito questo secondo fatto. Sebbene il vicerè, per non turbare quella sacra ceremonia, avesse dissimulato per allora lo strapazzo fatto ai suoi, concepì nondimeno alto sdegno, e sortito dalla chiesa ordinò la prigionia dei tre temerarî, e fatto loro compilare il processo, come ai sediziosi, furono tosto condannati, due a morte, e il Crisafulli per venti anni all’esilio nell’isola della Pantellarìa. L’Aprile, che racconta questo fatto (1755), vuole che i rei fossero due, cioè lo Scopa, che fu impiccato al luogo del delitto, e il Cavatore, cui fu reciso il capo: e soggiunge, che il senato di quella città fece una ossequiosa dimostranza al principe di Lignè, per cui dimostrò di non avere avuta parte veruna in quello avvenimento.
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