Ritornò dalla sua visita il principe di Lignè a Messina, e dopo di essersi trattenuto in essa città alcun altro tempo, ne partì, e ritornò alla capitale. Noi non sappiamo precisamente quando vi fosse arrivato, ma vi dovette giungere nell’entrare dell’anno 1674. Venuto in Palermo, chiamò in essa città i senatori messinesi, che si erano trovati al governo della città, quando accaddero le prime vertigini. Alcuni di essi ubbidirono, e furono carcerati in diverse fortezze del regno; gli altri ricusarono di venirvi, e perciò furono banditi. Questo nuovo rigore usato contro i Messinesi non fu l’effetto di alcuna mala opera, che questo vicerè avesse fatta alla corte di Madrid contro i medesimi. Si sapea ch’ei nel fondo del suo cuore non li odiava punto, e che avea persino suggerito loro che mandassero a Madrid due soggetti, [393] per giustificare la condotta, che i senatori, ed i ministri tenuta aveano contro le prepotenze di Luigi dell’Oyo. Costui avea prevenuto il ministero di Spagna, e la regina governatrice contro Messina; e i due inviati di questa città, che furono il P. Gio: Battista d’Alì cappuccino, e Stefano Mauro, trovarono chiuso ogni adito alla difesa, e fu perfino negata loro la udienza. Fu perciò opinione di molti fra gli stessi Messinesi, che questo colpo fosse arrivato ai loro senatori per opera del passato strategoto, e per ordine della regina, che reggeva quella monarchia, senzachè il principe di Lignè vi avesse avuta parte veruna (1759).
Non è inverisimile che questo uomo nemico dei Messinesi abbia alla corte disapprovata la condotta del vicerè, e lo abbia dipinto come un governatore timido, ed incapace di assoggettare quegli imperiosi cittadini; ma non perciò dee credersi che sia stata una cabala di costui la rimozione di questo cavaliere dal viceregnato di Sicilia.
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