Mentre i senatori erano con così atroci maniere trattati dal marchese di Crispano, fu preveduto da’ Malvizzi il pericolo, a cui eglino erano esposti, stando alla discrezione di costui, ch’era attorniato di gente armata, ed avea seco a suoi ordini nella piazza le soldatesche mentovate; e per salvarli presero le armi, e corsero al regio palagio affine di liberarli. Nulla però di sinistro era a’ medesimi accaduto, e si videro tosto scendere tranquillamente dalle scale. Ritornati alla casa senatoria ordinarono, che al suono della campana del duomo si convocasse il consiglio. Radunatisi ivi i nobili, e i principali cittadini, udirono dalla bocca de’ senatori le violenze dello strategoto; e sul fatto risolvettero di prendere tutti le armi, ed opporsi a’ di lui disegni. Preparatisi a sostenere il loro partito, marciarono con due grossi cannoni verso il regio palagio, dove stava il marchese di Crispano, che non avendo avuto il tempo di mettersi al largo, vi restò bloccato con tutta la gente, che seco avea. Intanto il senato, rotto ogni argine, pubblicò un manifesto, con cui dichiarò, che per salvare la città dalla oppressione de’ Merli, avea permesso che si armassero i cittadini: dichiarò nemici pubblici il marchese suddetto, e il di lui antecessore Luigi dell’Oyo, il vicario generale dell’arcivescovo, il principe di Maletto Spadafora, il presidente Alliata, l’avvocato fiscale della G. C. Dainotto, Ansalone avvocato fiscale della corte stratigoziale, e tutti della famiglia Cirino. Definì, che dovessero riputarsi come nulli i capitoli stabiliti l’anno 1671, trattone quello, che de’ senatori tre fossero nobili, e tre cittadini.
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