S’ingannò però a partito, e si accorse quanto erano senza fondamento i suoi giudizî. Fu egli avvisato, che se non volea esporsi al pericolo, si guardasse dall’appressarsi al lido; e siccome volle egli non ostante avvicinarsi, conobbe con effetto che i Messinesi diceano da dovvero: una scarica di cannoni fe fischiare le palle attorno le di lui orecchie, e poco mancò che non vi restasse ferito. Fu dunque costretto a cedere, e a ritirarsi con vergogna a Milazzo (1765).
Quantunque il marchese di Bajona fosse pieno di maltalento contro i Messinesi, e risoluto di domarli colla forza, volle non [396] ostante tentare, se colle buone potesse ridurli a sottomettersi, ed in questo intendimento promulgò in Milazzo un indulto, in cui promettea di perdonare tutti i delitti commessi in Messina dai 7 di luglio in poi, purchè ritornassero quei cittadini all’ubbidienza del sovrano. Replicò la stesa promessa ai 23 di agosto, ma sempre inutilmente. Allora vedendo chiuso il varco a qualunque modo di ridurli colle buone, si determinò di adoprare la forza, e chiamò a Milazzo le truppe regie, ch’erano sparse per il regno, intimò a’ baroni il servigio militare, e scrisse in Calabria, e in Napoli, perchè se gli spedissero delle soldatesche. Con queste fe rinforzare i castelli, ch’erano del re, e mandò de’ soccorsi all’assediato strategoto.
Ricusato ogni progetto di accomodamento, e divenuti più insolenti i Malvizzi, fecero una orrenda strage de’ Merli, e si prepararono alla difesa della città. Prima di ogni altro guernirono di soldati le fortificazioni, che appartenevano al senato, assoldando gente armata nelle terre del distretto, e munendo quei castelli di viveri, e di tutte le necessarie provigioni da guerra.
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