Quando si videro i Messinesi, e il vicerè a portata di farsi [397] fronte, si venne a diversi fatti d’armi, che furono ora favorevoli a’ rivoltati, ora alle truppe regie, che noi per non portare così a lungo questo racconto, lasciamo di riferire minutamente, rimettendoci a quanto ne scrissero gli storici di quel tempo (1769).
Non avendo trovato il Caffaro in Tolone il duca di Vivonne, andò a Marsiglia, e di là passò in Catalogna, dove era questo generale, cui consegnò le lettere ricevute in Roma. Abbracciando questi la occasione di far la guerra in Sicilia, appoggiò con sue lettere il progetto fatto da’ Messinesi. La corte di Parigi inerendo alle di lui insinuazioni gli comandò, che facesse tosto allestire sei grossi vascelli da guerra carichi di viveri, e di munizioni, e che disponesse un secondo soccorso per l’impresa proposta. Ne giunse tosto in Messina la notizia mandata dal Caffaro, e rallegrò quei cittadini, i quali resi più arditi levarono da’ luoghi pubblici il ritratto del re Carlo II. I senatori, per addimostrare, che non erano più soggetti alla Spagna, con una bombacciata indegna della gravità di quel magistrato, non più comparvero nei giorni festivi vestiti colla toga spagnuola nelle chiese, ma con abiti tagliati alla francese.
Apparve la squadra dei sei vascelli da guerra, cui erano uniti tre brulotti ancora, nel porto di Messina a’ 28 del mese di settembre, comandata dal commendatore de Valbelle. Il Caffaro, ch’era a bordo della medesima, diede conto al senato della sua negoziazione; il quale pieno di giubilo ordinò, che subito s’inalberassero su’ castelli della città le armi di Francia.
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